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Associazione amici dell'arte
L’Associazione Amici dell’Arte di Piacenza nata ufficialmente il 9 aprile 1920 per iniziativa di un gruppo legato alla Filodrammatica piacentina, con sede prima in via Sant’Antonino, 9 e poi in Via Poggiali, 29 si mise subito in evidenza con manifestazioni culturali di grande rilievo: il 13 maggio organizzò al Teatro Municipale un concerto del celebre violinista boemo Vasa Prihoda; il 20 agosto allestì nel ridotto del municipale la “prima mostra d’arte” (due pittori, Luciano Ricchetti e Savino Ferranti; un architetto, Paolo Costermanelli); il 6 novembre riuscì a far venire a Piacenza, con un’orchestra di cento elementi, Arturo Toscanini. Un trionfo.
La “seconda mostra d’arte” inaugurata il 22 agosto 1921 nei locali della Regia Scuola Normale (di fronte al rione Mazzini) ebbe più successo dellla prima: fu aperta a tutti i pittori piacentini; con un’antologia di Francesco Ghittoni emersero due giovani poco più che ventenni Luciano Ricchetti e Luigi Arrigoni.
E’ del ’21 il primo numero della “Strenna” che gli Amici dell’Arte riuscirono a pubblicare fino al ’30 (dieci numeri). Dei novanta soci iscritti alla fine del primo anno di fondazione (l’elenco è nel primo numero della “Strenna” pochi erano gli artisti: Luigi Arrigoni (pittore), Ercole Casali (pittore), Paolo Costermanelli (architetto), Ugo Rancati (scultore), Luciano Ricchetti (pittore) e Pino Sidoli (pittore), da non confondersi con Giuseppe Sidoli che sarà poi il primo direttore della Galleria Ricci Oddi.
Tra gli uomini di cultura mancavano l’architetto Arata, Giuseppe Ricci Oddi e Stefano Fermi, ma c’erano Carlo Anguissola, Aldo Ambrogio, il maestro Primo Bandini, il Prof. Cesare Brighenti Rosa, insegnante al Regio Ginnasio, commediografo e critico d’arte, l’avvocato Ugo Bizzi, collezionista, geniale uomo di spirito, destinato a diventare un protagonista nelle iniziative culturali del primo e del secondo dopoguerra, il maestro Alfonso Fratus De Balestrini, il Prof. Don Ettore De Giovanni, l’amatissimo e grande poeta in vernacolo Valente Faustini (che morì nel ’22), l’ing. Emilio Morandi, primo presidente dell’Associazione il conte Riccardo Douglas Scotti, autore di teatro e presidente della Società Filodrammatica e infine Don Angelo Maria Zecca, poeta e scrittore. C’era poi il fior fiore della nobiltà, dei professionisti, degli imprenditori e degli uomini politici: associazione d’élite.
Non per nulla gli Amici dell’Arte si fregiavano allora del motto: “A furore rusticorum libera nos, Domine”, che Ottorino Romagnosi disegnò ed acquarellò in una finta epigrafe.
L’anno dopo, nel 1922 gli Amici dell’Arte organizzarono la “Sala Laudiana” e la “Terza mostra d’arte” (sempre nei locali della Regia Scuola Normale), che ebbe un’eco molto favorevole anche fuori Piacenza: Ugo Ojetti ne scrisse sul “Corriere della Sera” (il 3 novembre).
Con i migliori artisti piacentini vi esponeva un pittore famoso, Mario Cavaglieri, che nel ’20 s’era trasferito da Rovigo a Piacenza per motivi di famiglia. Sarà lui più anziano di dieci anni che trascinerà nella sua scia Ricchetti e Arrigoni, protagonisti nella cultura figurativa piacentina tra il 1925 e il 1960.
Poiché gli Amici dell’Arte si rivelavano attivissimi e lamentavano la mancanza di una loro sede per mostre e manifestazioni musicali, con illuminato mecenatismo nel 1924 Giuseppe Ricci Oddi, costruendo la sede per la Galleria d’Arte Moderna, donata al Comune di Piacenza, pensò anche a loro e su progetto dell’Arch. Giulio Ulisse Arata costruì, accanto alla Galleria (in Via San Siro, 13), quella sede nella quale ancora oggi essi svolgono la loro attività.
Nel 1924 i soci dell’associazione erano 459, con due illustri soci onorari: lo scultore Pier Enrico Astorri, sulla cresta dell’onda per aver vinto il concorso internazionale per il monumento sepolcrale a Pio X in S. Pietro, a Roma, e Giuseppe Ricci Oddi. Proprio quando il problema della sede era stato risolto nel migliore dei modi, iniziò lo smantellamento dell’Associazione ad opera del Regime Fascista, che se ne impadronì penetrandovi con l’Opera Nazionale Dopolavoro.
Il 20 dicembre 1927 s’inaugurò in modo solenne il salone delle mostre e dei concerti con la mostra dei Cascella (Basilio, Tommaso e Michele); discorso di Sabatino Lopez. Presidente era ancora l’Ing. Morandi, ma di fatto, oramai, l’Associazione era condizionata dal podestà di Piacenza, Bernardo Barbiellini Amidei. E’ significativo che l’ultima strenna, quella del 1930 concluda il ciclo decennale con notizie relative alle manifestazioni dell’Opera Nazionale Dopolavoro.
Nel 1932, nel “decennale della Rivoluzione Fascista”, gli Amici dell’Arte si trasformano senza vistose apparenti ferite nell’Istituto Fascista di Cultura, il quale nel 1934 riprese la tradizione delle “Strenne”, con una nutrita sezione riservata alla politica del Regime, e una, come un tempo, d’interesse. (L’ultima strenna dell’istituto fascista uscì nel 1941).
Finita la guerra gran parte dei dipinti, dei mobili e dei libri di proprietà degli Amici dell’Arte andò dispersa e perduta (ma fortunatamente alcune delle opere d’arte di maggiore interesse erano state donate alla Galleria Ricci Oddi nel 1940). Quel poco che rimaneva fu recuperato quando sulla Gazzetta Ufficiale comparve (18 aprile 1949) il decreto di “Cessione all’Associazione “Amici dell’Arte” di Piacenza di pubblicazioni e di mobili già di pertinenza del soppresso Istituto Nazionale Fascista di Cultura”; decreto firmato il 7 agosto 1948 dal Presidente del Consiglio Alcide de Gasperi con il parere favorevole dei Ministri del Tesoro (Pella) e della Pubblica Istruzione (Gonella), “con l’obbligo di inalienabilità e di destinazione perenne per l’incremento della cultura artistica, storica, letteraria”.
Dopo un non breve periodo di riorganizzazione, l’Associazione allestì nella sua sede, resa sempre più agibile e accogliente, mostre di notevole impegno, come quelle dei pittori Luciano Richetti, Luigi Arrigoni, Ernesto Giacobbi, Alberto Campolunghi, Nazzareno e Giuseppe Sidoli, Martino Martini, Egidio Marulli, Umberto Concerti, degli scultori Nardo Pajella, Paolo Maserati e Ugo Rancati, degli incisori Giulio Aristide Sartorio, Petro Diana, Bruno Sichel, Ettore Bonfatti Sabbioni, dell’ebanista Antonio Cappelletti, e di Aldo Ambrogio, accompagnate quasi sempre da cataloghi che sono vere e proprie monografie.
Dal 1981 l’Associazione ha ripreso la pubblicazione della “Strenna Piacentina”, rivista di prestigio sponsorizzata da una grande industria locale, la Cementirossi, che rende conto, ogni anno, anche della vita degli “Amici dell’Arte”, che oggi sono oltre mille.